Il 25 marzo scorso si è svolta la prima edizione del “Dantedì”, la giornata nazionale dedicata al sommo poeta Dante Alighieri. E Tarquinia ha un debito di riconoscenza nei confronti del “fiorentin poeta”. Infatti, Dante cita per ben due volte Corneto, il nome medievale di Tarquinia. Città, all’epoca in cui visse lo scrittore toscano, che
Il 25 marzo scorso si è svolta la prima edizione del “Dantedì”, la giornata nazionale dedicata al sommo poeta Dante Alighieri. E Tarquinia ha un debito di riconoscenza nei confronti del “fiorentin poeta”. Infatti, Dante cita per ben due volte Corneto, il nome medievale di Tarquinia. Città, all’epoca in cui visse lo scrittore toscano, che doveva essere ben conosciuta.
La prima citazione è alla fine del XII canto dell’inferno, quando tra i personaggi che popolano quel girone infernale, viene inserito Rinieri da Corneto, un personaggio equivoco, ladro e tagliagole. Un bandito che derubava tutti quelli che attraversavano la bassa Maremma e l’Agro Romano dove egli compiva le sue censurabili gesta.
Certo, essere citati per un cittadino disonesto, non è il massimo. Ma ritrovare il nome della nostra città, fa comunque piacere.
La seconda citazione di Corneto è all’inizio del canto successivo, il XIII dell’Inferno, quando Dante e Virgilio arrivano nel bosco delle arpie ed è talmente intricato che il sommo poeta lo paragona alla Maremma tosco laziale, e la delimita geograficamente ponendo come limite al nord il fiume Cecina e al Sud Corneto.
Non è la prima volta che Dante, con i suoi versi, dà delle indicazioni geografiche. Lo fa, sempre nell’Inferno, anche nel Canto precedente, il IX, quando scrive
“Sì come ad Arli, ove Rodano stagna,
sì com’a Pola, presso del Carnaro
ch’Italia chiude e suoi termini bagna,
fanno i sepulcri tutt’il loco varo, così facevan quivi d’ogne parte,
salvo che ‘l modo v’era più amaro.”
Questo delimitare l’Italia al Carnaro, Dante l’avrà tratta dalle carte (approssimative) dell’epoca o si recò in Istria e vide dal vivo quella terra da sempre “italiana”, prima Romana e poi Veneziana?
Tornando a Corneto, due citazioni non sono veramente poche. Ed entrambe sono riportate, nella lapide che orna la torre di viale Luigi Dasti, che non a caso è detta “Di Dante” e andrebbe manutenzionata, almeno in questo periodo di festeggiamenti per un poeta e scrittore importante per l’Italia, ma ci sia consentito, per il mondo intero.
Inferno, Canto XII
Dante giunge a un’ampia fossa, a forma di semicerchio, in cui scorre un fiume di sangue bollente, chiamato Flegentonte. Tra la parete del Cerchio e il fiume corrono dei centauri, armati di arco e frecce. Quando vedono arrivare i due poeti si fermano e tre di loro vanno verso Dante e Virgilio. Uno chiede quale sia il peccato dei viaggiatori e li minaccia con l’arco. Virgilio risponde che spiegherà tutto al loro capo, Chirone, e poi dice a Dante che il centauro che ha parlato è Nesso, morto a causa di Deianira, mentre quello al centro è Chirone, che allevò Achille, e l’altro è Folo, uno dei più violenti.
Intorno al fiume sanguinolento ce ne sono migliaia, col compito di colpire con le frecce i dannati che fuoriescono troppo dal sangue bollente.
Il centauro fa notare ai due che in quel punto il bulicame cioè il liquido bollente, mano a mano si abbassa. Da notare che a Viterbo esiste ancora oggi una luogo dove affiora acqua bollente, denominato “Il Bullicame”. Forse da questo potrebbe aver preso spunto Dante.
Il livello del fiume ribollente e sanguinolento si riduce fino al punto dove i tiranni gemono e il bollore li fa piangere. La divina giustizia, da quel lato punisce alcuni personaggi: Attila, che fu flagello sulla Terra, denominato “Il flagello di Dio”; Pirro, forse il re dell’Epiro ma più sicuramente si tratta di Pirro figlio di Achille e di Deidamia, conosciuto per la ferocia esercitata nell’uccidere; e Sesto Pompeo, Figlio di Pompeo Magno, il quale dopo l’uccisione del padre continuò in Spagna la guerra contro Cesare.
Sconfitto a Munda tentò ancora imprese avventurose e talvolta fortunate: al tempo del secondo triumvirato s’impadronì della Sicilia e ne fece la base di scorrerie navali che gli diedero per alcuni anni il controllo delle coste italiane. Lì si sarebbe messo in evidenza per gli atteggiamenti violenti.
Dante Alighieri accomuna due personaggi: il “nostro” Rinieri da Corneto e Rinieri dei Pazzi. Dante li indica come ladroni che fecero tanta guerra alle strade. In particolare Rinieri dei Pazzi e della famiglia dei Pazzi di valdarno da non confondere con quella più famosa della congiura. Egli assaltava i viandanti sulle strade tra Firenze e Arezzo. Venne scomunicato nel 1268 dal Papa Clemente IV dopo aver derubato e ucciso un Vescovo.
Infine, nel punto dove il livello del sangue bollente diventa sempre più basso e cuoce solo i piedi dei dannati, i due guadano il fiume.
Così a più a più si facea basso
quel sangue, sì che cocea pur li piedi;
e quindi fu del fosso il nostro passo.
«Sì come tu da questa parte vedi
lo bulicame che sempre si scema»,
disse ’l centauro, «voglio che tu credi
che da quest’altra a più a più giù prema
lo fondo suo, infin ch’el si raggiunge
ove la tirannia convien che gema.
La divina giustizia di qua punge
quell’Attila che fu flagello in terra
e Pirro e Sesto; e in etterno munge
le lagrime, che col bollor diserra,
a Rinier da Corneto, a Rinier Pazzo,
che fecero a le strade tanta guerra».
Poi si rivolse, e ripassossi ’l guazzo.
Inferno, Canto XIII
Nesso non è ancora tornato sulla sponda opposta del Flegetonte, che Dante e Virgilio s’incamminano in direzione di una orribile selva, un bosco dove le foglie sono scure, i rami contorti e al posto dei frutti vi sono delle spine velenose. Dante descrive in poche parole un luogo terribile, dove nidificano le arpie, personaggi orribili con visi umani, grandi ali e zampe con artigli. Virgilio spiega a Dante che si trovano nel secondo girone del VII Cerchio.
L’autore conclude il secondo terzetto di versi citando Corneto, e delimita geograficamente quella che sarà poi conosciuta come la Maremma Tosco-Laziale, descrivendola come essa in realtà era a quei tempi: un luogo inospitale anche per le bestie feroci, cinghiali e lupi.
Non era ancor di là Nesso arrivato,
quando noi ci mettemmo per un bosco
che da neun sentiero era segnato.
Non fronda verde, ma di color fosco;
non rami schietti, ma nodosi e ’nvolti;
non pomi v’eran, ma stecchi con tòsco:
non han sì aspri sterpi né sì folti
quelle fiere selvagge che ’n odio hanno
tra Cecina e Corneto i luoghi cólti.
Rinieri da Corneto
Chi è Rinieri da Corneto? Sicuramente è nato nella nostra città, ma di lui si sa ben poco. Sembra sia stato un celebre predone, noto per la sua efferatezza nel XIII secolo. L’attività predatoria di Rinieri si svolge soprattutto lungo le strade della Maremma e dell’Agro romano. Infatti, la nostra Tarquinia, è il lembo più meridionale della Maremma, dopo la quale si apriva la Campagna Romana. E in questi luoghi che colpiva il terribile Rinieri.
Gli antichi commentatori lo ricordano come ladro e predone.
” Messer Rinieri da Corneto di Maremma fu grandissimo rubatore, tanto che mentre visse tenea in paura tutta Maremma et in fine in sulle parti di Roma; però ch’elli per sé medesimo facea rubare in sulle strade, et ancora chiunque volea rubare era da lui ricevuto nelle fortezze sue et datogli aiuto et favore “.
Francesco da Barberino, tra i primi commentatori della Commedia, nel suo libro “Documenti d’amore”, lo ricorda “robatorem nomine Raynerium “, in un aneddoto dedicato a Ghino di Tacco.
Nell’edizione del 1868 de “La Divina Commedia”, illustrata da Gustavo Dorè a cura di Eugenio Camerini, edita a Milano dalla casa Editrice Sonzogno, c’è la seguente nota: “Questi fu messer Rinieri da Corneto, uomo crudelissimo e di pessima condizione, e ladrone famosissimo né suoi dì, gran parte della Marittima di Roma tenendo, con le sue perverse operazioni e ruberie, in tremore.”
Dovrebbe essere un contemporaneo di Dante, o almeno dopo la morte, le sue gesta criminali saranno giunte fino al grande poeta che lo colloca nel VII cerchio dell’Inferno, nel canto XII, 137, tra i predoni, accanto all’omonimo Rinieri de’ Pazzi.
Non si può, non accostare la figura di questo predone a quella di Domenico Tiburzi, noto brigante della Maremma, il cui nome è legato alla nostra città poiché fuggì dalle Saline di Tarquinia, all’epoca luogo di detenzione e lavoro forzato per gli ergastolani. La sua latitanza durerà per molti anni, fino a quando non sarà ucciso dai carabinieri.
Cosa rimane a Tarquinia di questo legame con la Divina Commedia
Come scrivevamo a inizio articolo, c’è un simbolo, nella nostra città, anche se diversi tarquiniesi non ne sono a conoscenza. E’ la Torre detta “di Dante”, incorporata nelle mura cittadine e che si affaccia sui giardini di viale Luigi Dasti – piazzale Europa.
Su questa torre spicca una lapide, oggi leggibile a malapena, dove sono riportati i due versi del poema dantesco nei quali è citata la nostra bella Corneto.
Un segno tangibile di questo privilegio, che godono poche città italiane, e sul quale si potrebbe riflettere per creare un gruppo di lavoro con queste nostre “consorelle” e magari mettere in piedi un circuito turistico che sfrutti la notorietà di Dante e della Divina Commedia ai fini turistici, attirando visitatori da ogni dove.
Un’idea che andrebbe sviluppata dall’amministrazione comunale e dalla Società Tarquiniense d’Arte Storia, in collaborazione con le associazioni degli operatori turistici e commerciali, gli istituti scolastici.
In questo brutto periodo dominato dal corona virus e dalla crisi, occorre “fare squadra” e pensare a rialzarsi. Anche con l’aiuto di Dante Alighieri.
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sergio andreaus
28 Marzo 2020, 12:15Ho trovato un altro Ranieri da Corneto in provincia di Arezzo
REPLYUna però delle più estese “Faggiole” dell’Appennino toscano è quella che dal Sacro Eremo di Camaldoli si distende da maestrale a scirocco per i gioghi della Falterona, per quelli della Badia di Prataglia, e per il “Bastione” del Trivio;Page 1/3 Dizionario Geografico, Fisico e Storico della Toscana (E. Repetti) http://193.205.4.99/repetti/
mentre li sproni che diramansi dal Bastione fra il Savio, il Tevere e la Marecchia veggonsi ricoperti dalla “Faggiola” di Verghereto, da quella della Cella di S. Alberico e dalla cotanto ricercata “Faggiola”, dove ebbe origine, e dove propagò il suo avito dominio il valoroso Uguccione della “Faggiola”, nato dal Faggiolano Ranieri da Corneto, che Dante confinò nell’Inferno per essere del numero di quelli “che fecero alle strade orribil guerra”, in una parola l’autore di quell’Uguccione che innalzò la sua stirpe fra i dinasti di Monte Feltro, di Sarsina e della Massa Trabaria.